La stagione di “Non è l’Arena”, il programma della domenica sera di La7 condotto da Massimo Giletti, si avvia alla conclusione. E lo farà con un appuntamento speciale, in onda giovedì 10 giugno: si tratta di un reportage del giornalista dedicato a Cosa Nostra dal titolo “Abbattiamoli”.
Il tutto girato nelle terre siciliane tra Palermo e Corleone, visitando i luoghi dove si dipana la storia sanguinosa della mafia, ascoltando le testimonianze di carabinieri e malavitosi, magistrati e pentiti e seguendo le tracce di Matteo Messina Denaro.
Il titolo deriva proprio “da un’intercettazione in cui il figlio di Riina, parlando di Falcone e Borsellino, diceva: La decisione fu quella: abbattiamoli” spiega Giletti, intervistato da TV Sorrisi e Canzoni. “E proprio dall’omicidio dei due giudici comincia il viaggio nei misteri di Cosa nostra. Perché ancora oggi ci sono troppe domande che restano senza risposta”.
Il viaggio coprirà anche altri luoghi come Mezzojuso dove “davanti a quello che era un nascondiglio di Bernardo Provenzano” il conduttore ha incontrato “Luana Ilardo, la figlia di Luigi, un boss pentito. Lì suo padre ha firmato la propria condanna a morte. Aveva avvertito i carabinieri che in quel cascinale avrebbe incontrato Provenzano. Sono stati insieme otto ore; nessuno è intervenuto. Pochi mesi dopo Luigi Ilardo veniva ammazzato. Perché non ci fu l’irruzione? C’entra la trattativa tra Stato e mafia per fermare le stragi (volute da Riina, ma non da Provenzano)? E se sì, cosa chiese Cosa nostra? E cosa concesse lo Stato? Intervisto anche Salvatore Baiardo, uomo vicinissimo ai fratelli Graviano, che i giudici considerano ai vertici della mafia insieme a Matteo Messina Denaro” anticipa Giletti che è ancora sotto scorta per le minacce ricevute da parte delle organizzazioni mafiose.
Nonostante questo, non si dice preoccupato di dover tornare sull’argomento: “Chi fa delle battaglie mette sempre in conto di pagare un costo. Non mi sarei aspettato però la solitudine. Vede, se fossimo stati in tanti tra i giornalisti della tv a portare avanti questa battaglia, non sarei stato l’unico loro obiettivo. E sarebbe stato impossibile fermarci tutti. Invece così sono diventato vulnerabile”.
L’amarezza più grande è quella di aver ricevuto molto poco supporto: “Ho avuto tanto silenzio. Ho comunque sempre pensato che anche il dolore e le delusioni fanno parte della ricchezza della vita. È chiaro che fa male. Non sono arrivati neppure quei messaggi “pro forma” che si fanno tanto per cortesia, senza convinzione. Neppure quelli. E così ci si sente soli”.
“Non appartiene al mio modo di vivere girare la testa dall’altra parte” dice, affermando che rifarebbe tutto, anche se questo gli è costata una vita sotto scorta: “La mia vita non è più la stessa. Ogni volta che esco di casa devo ricordarmi che c’è un rischio che mi aspetta. Un rischio reale: sono stato minacciato dai vertici della mafia, non da qualche quaquaraquà”.
A chi la dice che Cosa nostra “appartiene al passato”, infine, Giletti rivolge un pensiero: “Chi dice che la mafia non esiste più non ha mai respirato l’aria che si vive in alcune zone del nostro Paese. Credere che Cosa nostra sia quella della coppola e della lupara vuol dire raccontare l’ennesima fesseria. L’ennesimo depistaggio”.