Corrado Augias lascia la Rai per La7: “Questa Rai non mi piace, vedo troppa improvvisazione, oltre a troppi favoritismi”

Un altro addio si abbatte sulla Rai. Dopo Fazio, Annunziata, Gramellini e Berlinguer, anche Corrado Augias lascia l’Azienda pubblica: da lunedì 4 dicembre lo vedremo su La7 con un nuovo programma settimanale di cultura, intitolato “La Torre di Babele”.

“Un’ora di tv, dopo Lilli Gruber. Ci sarà uno spirito-guida, un ospite ad alto livello, a cominciare da Alessandro Barbero, e alla fine un personaggio a sorpresa, per tirare le somme”

ha dichiarato in proposito Augias in una lunga intervista al Corriere della Sera.

Un addio alla Rai, quello di Augias, che arriva dopo ben 63 anni in cui è stato una vera e propria colonna del servizio pubblico, e in particolare di Rai 3, dove ha condotto di tutto e di più, dallo storico Telefono Giallo fino al più recente La Gioia della musica (di cui peraltro era stata annunciata una nuova edizione), passando per Quante Storie, Città Segrete, Babele (programma degli anni ’90 a cui probabilmente la nuova trasmissione di La7 vuole richiamarsi) e molto altro.

“Mi chiamò Angelo Guglielmi, con la sua vocina: ‘Non abbiamo soldi per fare gli sceneggiati, ma ti darò una trasmissione che sarà il nostro sceneggiato’. L’idea era di Lio Beghin, padovano geniale: contaminare la tv con il telefono. Nacquero così Telefono giallo e Linea rovente, affidata a Giuliano Ferrara”
ha ricordato il giornalista.

Ma cosa lo ha spinto a lasciare? Lo ha spiegato lui stesso nell’intervista sopra citata al Corriere:

“Ho ceduto dopo anni al corteggiamento di Urbano Cairo e poi anche del direttore Andrea Salerno. Per il gusto della sfida”

Solo gusto della sfida? Non proprio, perché Augias ha poi aggiunto:

“Nessuno mi ha cacciato (dalla Rai, ndr), ma nessuno mi ha trattenuto. A 88 anni e mezzo devo lavorare in posti e con persone che mi piacciono; e questa Rai non mi piace […] In Rai oggi vedo troppa improvvisazione, oltre a troppi favoritismi. La tv è un medium delicatissimo. Deve suscitare simpatia, nel senso alto dell’espressione”

Parole molto dure, dunque, sulla nuova gestione del Servizio Pubblico (da molti denominato “Tele-Meloni”).

Il giornalista ha poi elogiato Stefano Coletta (ex direttore di Rai3, Rai1 e dell’intrattenimento Prime Time), non risparmiando critiche alla decisione dei nuovi vertici di spostarlo alla “Distribuzione”:

“Stefano Coletta, grande uomo di prodotto, che rilanciò Rai3. L’hanno messo in un angolo”
Ma non è finita qui: in un lungo intervento sul quotidiano La Repubblica Augias ha infatti usato parole ancora più dure contro la nuova dirigenza Rai (e contro il governo Meloni)

“Volevano demolire la Rai dei comunisti; stanno semplicemente demolendo la Rai. Un governo che sul piano generale si è dimostrato approssimativo e incompetente ha prodotto il massimo d’efficienza nella progressiva distruzione della Radiotelevisione Italiana, nientemeno. Due fattori mi hanno spinto fuori dalla Rai dopo sessant’anni di onorato servizio (come si diceva una volta).

Il dilettantismo, le scelte improvvide, la presunzione che una pedina valga l’altra, l’inconsapevolezza che l’efficacia televisiva è una delicata miscela di professionalità e congruenza con l’argomento, la dimenticanza che l’egemonia culturale non si può imporre piazzando un fedele seguace qua e uno là. Sono materie (non le sole) in cui la competenza deve prevalere sulla fedeltà.

Questo è il secondo argomento: l’egemonia culturale. Dietro lo sconquasso s’intravede infatti un disegno, lo stesso che trapela da alcune decisioni del governo: cambiare la narrazione di fondo che ha retto la Repubblica dal 1948 (data di nascita della Costituzione). È come se gli esclusi, a giusto titolo, da quell’atto fondativo, volessero oggi rifarsi con una seconda (o terza) repubblica affidata non solo a una nuova Costituzione ma anche alla riscrittura della storia. Questo compito è affidato, e ancora più lo sarà tra qualche mese, alla Rai. Mi si potrebbe obiettare che se quello che penso è vero era il caso, proprio per questo, di restare cercando di bilanciare il guasto. È giusto.
Dal 1960, anno in cui entrai (per concorso) in Rai, ne ho viste di ogni colore a partire dall’arrivo dei socialisti dopo il primo governo di centro sinistra nel 1963. Se fossi più giovane lo avrei fatto. Ma sono vecchio voglio continuare a lavorare, finché avrò sufficiente consenso, con gente simpatica in un ambiente cordiale. Questo alla Rai è diventato più difficile perché, ecco un terzo e finale elemento, a tutto il resto s’accompagna un velo d’arroganza”.