#VincenzoMollica: “Sono un apprendista pensionabile. Accetterò qualche proposta lavorativa” tra queste #LaVitaInDiretta, poi #Fiorello…

“Sono “rinco” ma mi cercano tutti. Combatto parkinson, diabete e cecità, eppure ho sempre in tasca un sorriso”

Sono le parole di un grande protagonista della televisione italiana che sta combattendo contro la malattia con la sua solita ironia. Francesca D’Angelo per Libero ha intervistato Vincenzo Mollica che abbiamo avuto il piacere di vedere, come di consueto, dal balconcino di Sanremo 2020, ultima manifestazione televisiva prima del coronavirus.

In questo periodo però il giornalista ha approfittato di Instagram per continuare a pubblicare i suoi pungenti aforismi: “La storia non si fa con i riassunti e nemmeno con i cronisti presuntuosi o presunti” oppure quelle che lui chiama – Favolette Scorrette –  “Una cicala si vestì da opinionista e cominciò a opinionare, fino a quando una formica, con tempismo perfetto, la mandò a cagare”.

Un vero e proprio canale tv clandestino che raccoglie, in rima, i «pensieri che mi passano per la capoccia».

Da dove nasce dunque questo amore per i social?

«Fin da giovane sono sempre stato incuriosito dall’evoluzione del linguaggio e Instagram è particolarmente interessante perché rivoluziona l’uso delle immagini. Per certi versi mi ricorda molto il Corriere dei Piccoli, dove ogni disegno aveva una didascalia in rima. Ecco, diciamo che sui social realizzo una sorta di Corrierino dei piccoli da adulto…»

Uno stile inconfondibile quello di Mollica che ha portato, in passato, uno dei più importanti critici della televisione, Aldo Grasso, a coniare il termine “Mollichisimo”

«Nutro un grande rispetto per Grasso, che è uno storico importante della tv e un grande professionista, però onestamente nella mia vita ho semplicemente fatto, con passione e umiltà, il mio lavoro: il cronista. Non ho mai indossato il mantello del critico né mi sono messo nelle condizioni di fare qualcosa che non fosse il cercatore di storie. Sono solo una persona che incontra altre persone e le ascolta: quello del cronista è un mestiere molto più semplice di quello che si possa pensare».

Sicuramente un ruolo che ha visto in Mollica uno dei suoi migliori interpreti; forse sarà stata la scelta di occuparsi soltanto di storie che lo incuriosivano evitando quelle ipocrite o noiose considerando l’intervista prima di tutto come una conversazione, nella quale lasciarsi sorprendere dall’interlocutore.

“Per questo non preparavo mai le domande: sono sempre stato più interessato alle risposte. Quindi se dovevo intervistare qualcuno arrivavo sapendo tutto quello che c’era da sapere sul suo conto, ma con nessuna domanda pronta. In questo mi è stato di insegnamento Lello Bersani. Mi disse: “Quando si fa una telecronaca bisogna essere preparati per l’80% poi il resto è improvvisazione. Se però non c’è quell’80% di sostanza, sul quale hai riflettuto, l’altro 20% verrà sicuramente male”

Nel corso della sua carriera però fu costretto anche a seguire eventi che non gradiva e gli capitò anche di perdere le staffe. In quel caso l’arma vincente era quella dell’ironia: “uno strumento antico e perfetto, in constante dialogo con l’intelligenza. Oggi purtroppo si usa poco ed è un peccato: il narcisismo ti fa essere giudicante, l’ironia invece ti permette di capire”.

Nel dare poi un giudizio sulla tv di oggi dice:

«Mi è sempre piaciuta la tv del buon senso dove si capisce quello che c’è da capire, dove vengono poste le domande giuste senza trabocchetti. Mi piacerebbe che la tv ritrovasse la limpidezza della cronaca, tornando a raccontare con verità il nostro tempo, soprattutto in questo periodo: il Covid è una tragedia dell’umanità, bisogna ritrovare speranza. Invece, superati i primi giorni di paura, è tornata in onda la commedia dell’arte”.

E come esempio di limpidezza considera sicuramente Enzo Biagi insieme al primo direttore del Tg1 Emilio Rossi e a Nuccio Fava.

“Da Rossi ho imparato la permanente curiosità. Ricordo ancora quando gli proposi di fare un servizio su Pippo, il personaggio della Disney. All’epoca il Tg non si occupava di fumetti. Mi chiese, perplesso, perché volessi parlare di lui; gli dissi: “Perché Pippo è un filosofo: è il più socratico dei personaggi Disney”. Mi diede fiducia e il servizio andò in onda. Fava invece era il più grande telecronista Rai: andava a braccio, senza nemmeno un foglietto, e raccontò con verità pagine di storia italiana come il sequestro Moro».

Dallo scorso febbraio, a causa della sua malattia, Mollica ha annunciato l’inizio della pensione e da quel momento è corteggiatissimo: dal pupazzo a sua immagine e somiglianza creato da Fiorello, dalla voce dedicata dalla Treccani fino alle voci che lo danno come new entry a La vita in diretta.

«Se ieri mi definivo un cronista impressionista e impressionabile, oggi più coscientemente penso di essere un apprendista pensionabile. Sono arrivato a quel periodo di vita dove vedi in lontananza la giovinezza e molte persone, con fare cortese, iniziano a dirti che stai per vivere una seconda gioventù. Con altrettanto garbo, capisco invece che sto entrando nell’età del rincoglionimento totale. Quanto alle proposte lavorative, è vero, ne ho ricevute diverse e le sto vagliando: ne sceglierò sicuramente qualcuna, da fare in modo saltuario. Devo sempre tenere a bada il buono, il brutto e il cattivo che mi accompagnano, ossia il Parkinson, il diabete e la cecità».

Malattie che definisce “compagni di viaggio fastidiosi”, che a volte fanno perdere la pazienza ma si affrontano tenendo in tasca un sorriso per tirarlo fuori quando serve.

Ed infine su un prossimo Sanremo e sul coinvolgimento da parte di Fiorello dice:

«Fiorello ha carta bianca con me, gli lascio fare tutto quello che vuole. D’altronde di fronte a un artista geniale come lui, ci si consegna in segno di resa: è il comportamento più giusto. Fiorello è straordinario, quando inizia un progetto nasce sempre qualcosa di bello. È un maestro del linguaggio ed è questo a fare la differenza: se vai in tv per fare una battuta, non succede nulla, se invece racconti qualcosa allora entri nel cuore dello spettatore».