TELE… DICO | Genitori e figli, (d)istruzioni per l’uso: c’è davvero bisogno di lavare i panni sporchi in TV?

Una volta si dava la colpa alla tv: “Spegnetela e fate più figli”. Oggi non serve: basta sintonizzarsi un attimo su qualche programma e la voglia di figliare si spegne “magicamente”. Perché il quadro che il piccolo schermo restituisce, sul fronte dei rapporti genitori-figli, è quanto mai desolante.

L’informazione, l’intrattenimento: non c’è genere che ne è esente. Figli contro i genitori e genitori contro i figli. Scambi di accuse e abbandoni. Fallimentari tentativi di riconciliazione, rigorosamente davanti alle telecamere. E nel mezzo autori e conduttori che si appropriano di queste situazioni facendone quasi battaglie personali fino a trasformarsi, all’interno di una narrazione fastidiosamente retorica, in improvvisati pacieri che lasciano il tempo che trovano.

Oggi sono gli Zenga. Ieri (nello stesso reality) erano i Goria. E prima ancora Bobby Solo e la figlia. O anche Manuela Villa, per citarne solo alcuni. Senza dimenticare le guerre famigliari fake ricostruite a Forum e quelle vere di cui da anni si alimenta un certo tipo di televisione: iconica ormai quella del Telegatto che, qualche giorno fa, ha scritto un nuovo capitolo con l’ennesima lite “urlata” in diretta, altrettanto svilente quanto le precedenti.

Con uno schema che si ripete ciclicamente: il bisogno di un confronto, di un chiarimento. La mediazione del conduttore. E il tentativo di riappacificazione che si risolve in un ulteriore, acceso scambio di accuse, alimentato da interviste sui giornali e post social. Nuovo materiale, pronto per essere riutilizzato nell’ennesimo episodio di quelle che appaiono ormai come soap-opera a tutti gli effetti.

Desolante, no? Passi per la cronaca, in questi giorni concentrata sulla scomparsa dei coniugi di Bolzano di cui è accusato il figlio. Lì è notizia e finché resta tale, quando cioè non si risolve in sensazionalismo, ha nell’interesse pubblico una sua ragione d’essere. Nell’intrattenimento invece l’incomunicabilità diventa occasione di visibilità fine a se stessa.

Sia chiaro, nessuno qui mette in discussione la sofferenza altrui: le lacrime del giovane Zenga, che non deve di certo la sua popolarità(?) a doti attoriali, parlano da sé. Ma davanti a quel confronto con il padre, nonché alla sua successiva ospitata a “Live”, è quasi impossibile non chiedersi dove sia l’autenticità, la spontaneità in uno pseudo-chiarimento forzato dalle telecamere. In un confronto su cui pesano inesorabilmente logiche televisive. Se davvero la tv possa rappresentare l’unica scorciatoia per riuscire ad aggiustare un rapporto ormai compromesso. Ma soprattutto, al netto di ragioni di share, quanto a beneficiarne sia il mezzo televisivo e quanto invece il genitore o il figlio.

Domande che non guardano in faccia a nessuno. Neanche davanti a una riconciliazione. Perché non è che sia migliore lo spaccato restituito ad esempio da “C’è Posta Per Te”, dove protagonista è la gente comune e in molti casi il lieto fine è pressoché assicurato. Persino una sorpresa come quella ricevuta da Alessandro, a cui il padre (non biologico) ha regalato Nicolò Zaniolo, induce a pensare che i figli non siano di chi li fa ma di chi li cresce. Costringe a riflettere sull’abisso che c’è tra essere genitore e fare il genitore . Così come tra essere figlio e fare il figlio.

È questo che sembra dirci oggi la televisione nel dare visibilità a storie che si fanno portavoce di uno dei peggiori mali dei nostri tempi: l’incomunicabilità. “Né vincitori né vinti, si esce sconfitti a metà”: che la risposta stia in questi versi cantati da Arisa?