TELE… DICO | Da #BarbaraDUrso a #SilviaToffanin, quelle lacrime che infastidiscono gli haters. Ma non vi vergognate?

Succede. Succede sempre. Ogni qualvolta ci si lascia andare pubblicamente a un ricordo personale. Quando la commozione prende il sopravvento. Eccoli, pronti a insorgere: gli indignati. Quelli che “guarda come spettacolarizza il dolore”. Quelli del “poteva risparmiarselo”. L’ultima, in ordine di tempo, è stata Barbara D’Urso: un bersaglio fin troppo facile, anche per via di alcune scelte contenutistiche piuttosto discutibili adottate nei suoi programmi. Faide familiari, corna, figli illegittimi ma anche problemi economici: argomenti di per sé delicati, personali, spesso trattati con toni insopportabilmente esasperati che si prestano senza troppa difficoltà a critiche e polemiche. Rivolte non tanto alla trasmissione, quanto alla conduttrice.

È il contro, tra i tanti pro, di quando si personalizza eccessivamente un programma fino a ricavarne uno stile. Non è Domenica Live, né Live o Pomeriggio 5: per tutti è “la tv di Barbara D’Urso” e, che le piaccia o meno, è lei a doverne rispondere. Lei che domenica è stata sommersa di critiche, alcune anche piuttosto feroci, per non essere riuscita a trattenere le lacrime nel raccontare l’amico Stefano D’Orazio, scomparso lo scorso 6 novembre. Lo ha fatto insieme a Riccardo Fogli, ovviamente nel suo stile, avvalendosi delle interviste e delle immagini raccolte in passato nei suoi programmi. E in particolare di quelle del matrimonio del batterista di cui, sempre davanti alle telecamere di Pomeriggio 5, è stata testimone. La notizia le è arrivata proprio poche ore prima (il programma è presumibilmente registrato al sabato): per lei trattenersi è stato impossibile questa volta.

Ed eccoli gli indignati, emergere dai social con le loro invettive. Le accuse di spettacolarizzazione. Pochi giorni prima, seppur non con la stessa veemenza, era toccato anche a Silvia Toffanin che aveva chiuso la puntata di Verissimo ricordando la madre, scomparsa pochi giorni prima. “X me se uno prova dolore nn va in tv 2 giorni dopo che ti è morta la mamma” per citarne uno (sì, scritto proprio così). Più o meno quanto si diceva due anni fa di Lory Del Santo, quando decise comunque di partecipare al GF Vip nonostante la perdita del figlio, poche settimane prima. Eccoli, gli indignati. Coloro per cui davanti a un dolore, di qualunque natura esso sia, ci sono reazioni “giuste” o “sbagliate” (purché non siano le loro ad essere etichettate). Coloro che si permettono di giudicare come qualcun’altro lo affronta, quasi fosse un loro diritto. E che quel dolore in realtà lo sfruttano per screditare ancor di più chi sono soliti attaccare abitualmente.

Indignati a ondate, più per questioni di antipatia che per altro. Si riempiono la bocca della parola “rispetto”, incapaci però di riconoscerlo. Perché essere personaggi pubblici non significa essere criticabili indistintamente. La valanga di insulti rivolta alla D’Urso lo dice chiaramente. Si possono non condividere i contenuti delle sue trasmissioni, i toni. Si possono contestarne le scelte. L’Eterno Riposo recitato in diretta. La fenomenologia del “Non ce n’è coviddi”. Non si può però, né si deve arrivare a sentenziare sull’autenticità di un dolore. Di una sofferenza. Lì è rispetto: lì sta il limite invalicabile tra personaggio e persona. Tra pubblico e privato. In certi casi meglio star zitti quindi, nel bene e nel male: giudicare il dolore altrui è di per sé qualcosa di agghiacciante. Per non dire di vergognoso. Di atroce.