A CACCIA DI FORMAT | #InSolitary, l’esperimento pre-lockdown che ha sconvolto e indignato il Regno Unito

In quest’estate cheTVfa ha deciso di mettersi in viaggio. Non, però, per concedersi una vacanza, ma per scovare, in giro per il mondo, nuovi programmi – in rampa di lancio o già consolidati – ancora sconosciuti alla televisione italiana. Lente d’ingrandimento alla mano, ogni mercoledì, questo nuovo appuntamento ci porterà così “A caccia di format”.

Oggi non esiste Paese al mondo in cui non si parli di isolamento, lockdown, di distanziamento sociale. Oggi. Tre anni fa, quando Channel 5 lanciò In Solitary: The Anti Social Experiment era folle anche solo immaginare che potesse davvero accadere quanto invece sta inesorabilmente segnando il corso del 2020.

In Solitary ridefinisce il concetto di “reality estremo”: un format potente che ha diviso il pubblico inglese creando disgusto e stupore. In cinque hanno accettato di prendere parte all’esperimento: ognuno di loro è stato rinchiuso in isolamento assoluto per cinque giorni dentro una piccola stanza asettica. Senza orologi, tv, computer. Nessuna possibilità di comunicare con l’esterno: neanche una finestra per prendere una boccata d’aria. Solo un letto, i servizi igienici, una lavagna bianca, un lavandino, il cibo sufficiente per sopravvivere e l’essenziale per riscaldarsi. Tra noia e silenzio. Come topi in gabbia, sorvegliati dalle telecamere. Resistere per loro significa vincere il nemico più temibile: loro stessi. Un’esperienza che metterebbe a dura prova chiunque.

I prescelti: una giovane infermiera, un popolare conduttore televisivo, un operaio edile che soffre di dipendenza da social network, una ragazza separata da appena quattro mesi, una mamma single. Hanno potuto scegliere tre oggetti da portare con loro: quasi nessuno però ha pensato a qualcosa che avrebbe potuto aiutarli a trascorrere le lunghe ore di reclusione. Com’è andata? Erano trascorse due ore dall’inizio dell’esperimento quando l’infermiera Charmayne è entrata in crisi e dopo quattro ore di pianto ha premuto il pulsante che le ha permesso di aprire la porta e porre fine a quello strazio. Per George Lamb, conosciuto presentatore tv, sono state sufficienti 23 ore: incapace di sopportare il silenzio,  angosciato dall’impossibilità di riuscire a distinguere il giorno dalla notte ha preferito uscirne sconfitto piuttosto che continuare a vivere in condizioni così stressanti.

Gli altri tre invece, tra mille crisi e difficoltà, sono riusciti a resistere: Lloyd, l’operaio, aveva trovato nelle telecamere in movimento una sorta di “amico” con cui parlare. Non appena però la produzione, in accordo con lo psicologo, ha deciso di mantenerle statiche, è entrato in crisi. Per la mamma Sarah invece è stata ancor più dura: l’angoscia, l’ansia ha preso il sopravvento creandole scompensi fisici e psicologici al punto che la produzione si è trovata quasi costretta a intervenire. Oltre a dare ripetutamente di stomaco, ha incominciato a temere che qualcuno potesse fare irruzione nella stanza, quasi dimenticando di poter contare su una sorveglianza costante. Nonostante gli autori avessero pensato di costringerla ad abbandonare il “gioco”, è rimasta fino alla fine. Chi ha reagito meglio è Lucy: forte di una grande passione per l’arte, si è passata il tempo disegnando e dipingendo le pareti della stanza (tra gli oggetti a scelta si era portata degli acquerelli). Ha retto trasformando l’ansia in emozione. Questa la chiave per resistere. Tre su cinque quindi ne sono usciti positivamente, sostenendo che questa esperienza li ha resi più forti sia psicologicamente che fisicamente. Lo psicologo del reality però ha fatto notare come tutti i partecipanti abbiano sottovalutato l’esperimento sin dall’inizio minimizzandone le difficoltà.

E il pubblico? Trasmesso in un’unica serata nell’agosto 2017 su Channel 5, In Solitary (ispirato in parte a Solitary, reality di Fox Channel in onda dal 2006 al 2010 dove i concorrenti venivano reclusi al massimo per un giorno) è stato accusato di essere eccessivamente crudele, tacciato di sadismo gratuito. Sotto accusa in particolare le immagini riguardanti Sarah. Nonostante le polemiche, l’anno successivo ne è stata realizzata una versione celebrity in più episodi. Insomma, qui il gioco è davvero “off limits”: nulla a confronto con “l’ultima spiaggia” dell’Isola dei Famosi (per chi ancora se la ricorda). Lì almeno un cameraman, un cocco con cui parlare si trova. Qui invece, soli con se stessi, sfuggire ai fantasmi della propria mente è quasi impossibile. Perché, come scriveva Virginia Woolf, “è molto più difficile uccidere un fantasma che una realtà”.