TELE… DICO | Politically (S)Correct: quello che #DettoFatto può davvero insegnare

Siamo noi oggi a non capire? Oppure erano loro quaranta, cinquant’anni fa ad essere troppo sfrontati o meglio dire “politicamente scorretti”? Me lo sono chiesto guardando nei giorni scorsi uno speciale del Tg2 Dossier dedicato agli anni Ottanta: un lungo viaggio in un decennio all’insegna della sfrontatezza e di (incauto) ottimismo. Non c’ero, non posso ricordare.

Ma, di tutte le immagini andate in onda, mi hanno colpito in particolare quelle di alcuni spot di allora. In uno un uomo di colore, a petto nudo, agghindato come fosse appena scappato da una tribù africana, sponsorizzava vasetti di cipolline: impossibile non leggere, al di là dell’evidente intento comico, il campionario di stereotipi sulle persone di colore che lo spot restituiva.

E ancora la pubblicità di una marca di caramelle: a prima vista apparentemente innocua, alterna le immagini della confezione di caramelle a quelle di una bella ragazza, di un giocatore di rugby, di un bambino e di un ragazzo in giacca e cravatta. Tutto bene fino a quando, a un certo punto, non ne compare anche una di Hitler che inizialmente corrucciato comincia poi a sorridere: agghiacciante è dire poco.

E andando ad approfondire ne ho trovata una di un ghiacciolo, in cui il jingle, giocando evidentemente sul doppio senso, suonava più o meno così: “Mordi mordi mordi, lecchi lecchi, succhi succhi gelati per bocche super”. Gli anni Ottanta, gli anni della tv commerciale. Delle ragazze Cin Cin e di Colpo Grosso.

Il nudo, l’erotismo, lo show. Qualche anno prima (era il 1978) su RaiDue andava in onda Stryx, oggi ricordato anche per i debutti (e i sexy balletti) di Amanda Lear e Barbara D’Urso: a metà tra varietà e concept show, giocava con un taglio dichiaratamente ironico intorno al binomio satanismo-erotismo. Non arrivò oltre la sesta puntata, sospeso per le innumerevoli polemiche e le proteste dei telespettatori, scossi dalle atmosfere “diaboliche” (seppur in chiave sarcastica) e dalla continua ostentazione del nudo femminile. Qualcosa di così controverso quanto innovativo: oggi probabilmente un’idea simile non vedrebbe neanche la luce.

Ma non finisce qui: a guardare indietro gli esempi si sprecherebbero, tanto che sarebbe impossibile contenerli in un articolo. Ma quello che preme far notare è come oggi non si possa non guardare a quella tv, a quel mondo, senza pensare al clamore suscitato dal tutorial-sexy di Detto Fatto. O alla (presunta) cancellazione all’ultimo del twerking di Elettra Lamborghini dal montaggio di The Voice Senior. A come il “politically correct” sia entrato prepotentemente nei palinsesti. E a quanto si sia assottigliato il confine tra pudore e sfrontatezza.

Per qualcuno il confronto può non reggere: altri tempi, altra tv. E il “liberalismo” di ieri non deve cancellare anni di battaglie e di passi avanti, né diventare pretesto per giustificare eventuali episodi tacciabili oggi di cattivo gusto. No, ma può comunque servire a capire che ieri come oggi a fare la differenza non deve essere il “cosa” ma il “come”. Il come si confeziona uno spot, come si scrive uno show, una gag: si poteva esagerare allora come lo si può fare oggi.

Così come possiamo essere noi ad enfatizzare qualcosa che nasce esclusivamente per intrattenere. Nel non riuscire a coglierne l’intento reale o nel leggerne un altro. Possiamo essere noi, in un mondo che porta a categorizzare tutto come o “giusto” o “sbagliato”, o “bianco” o “nero” a non riuscire più a distinguere le sfumature.

L’episodio di Detto Fatto, al netto di giudizi e dietrologie varie, dice anche questo: chi siamo, dov’eravamo, dove stiamo andando. Dice quanto oggi il tempismo sia fondamentale, al punto che un siparietto già più volte portato in scena (anche se questa volta in maniera particolarmente “leggera”) possa risultare “fuori luogo” se trasmesso in prossimità di una ricorrenza importante e universalmente sentita. E di come, a catena, pur di cavalcare l’onda e inseguire follower persino altri tutorial trasmessi in passato e caduti nel dimenticatoio possano ritornare improvvisamente alla ribalta sui social e diventare “di cattivo gusto”.

Ma dice anche di come il “politically correct” possa essere oggi pretesto per manovre terze che nulla hanno a che fare con il programma in sé (lo spiega bene Giuseppe Candela in questo articolo del Fatto.it). E soprattutto dice quanto poco rumore suscitino le scuse, per nulla comparabile al polverone che un’accusa può sollevare. No, quando si chiede scusa “detto fatto” sembra proprio non valere.