TELE… DICO | Non tutti gli “over” vengono per nuocere: la terza età in TV tra #UominieDonne e #TheVoiceSenior

Eravamo abituati a mummie e gavettoni. Torte in faccia e interventi estetici. La terza età in tv era questo: non format come Non ho l’età (Rai 3) che, per quanto gradevoli, hanno meno risonanza. Ma sessantenni e settantenni infoiati, che tra liti e balli animano i pomeriggi televisivi. Fino a qualche anno fa ci si spingeva anche oltre: ottanta anni e più.

Uomini e donne incapaci di arrendersi allo scorrere del tempo, alla solitudine. In cerca di qualcuno con cui condividere le gioie che la vita può ancora regalare. Poi però teatrini e gabbiani hanno preso il sopravvento: oggi, tra un caffè e una sfilata, il trono over non è altro che l’ennesima fiction un po’ sbiadita e ormai priva di credibilità, che si guarda anche per il gusto di capire fino a dove può spingersi il protagonismo di chi, per amor di telecamera, è disposto a fare (e soprattutto ad accettare) la qualunque. Persino una secchiata d’acqua addosso. Pur di mantenere l’attenzione su di sé.

La terza età in tv era anche questo: protagonismo sfrenato, desiderio di visibilità, esasperazione. Qualcosa di quanto mai distante dalla realtà. Era. Poi il pubblico ha scoperto The Voice Senior. Non il re dei format, sia chiaro: in pochi, sulla carta, ci avrebbero scommesso, ammettiamolo. Un po’ perché il format madre da noi non ha avuto molta fortuna. E un po’ perché raccontare con autenticità e misura la terza età non sembra ripagare sempre, se vediamo anche a esperimenti del passato come Super Senior (non a caso sempre RaiTre).

E invece a volte sbagliare può essere ancor più piacevole dell’avere ragione. Lo dice uno che su The Voice Senior non ci avrebbe scommesso due lire. E che per settimane si è interrogato sul perché potesse così inaspettatamente convincere il pubblico, pur riconoscendone fin da subito il lavoro efficace nell’adeguare il format ai gusti del pubblico di RaiUno.

E lì ho capito: The Voice Senior ci ha messo in crisi. Ha messo in crisi chi, come me, sulla carta ci aveva visto l’ennesimo titolo mordi e fuggi, destinato a durare quanto un gatto in tangenziale. E, ora, per amor di onestà, deve riconoscere di essersi sbagliato.

Ha messo in crisi il concetto stesso di “talent”, dimostrando che anche una competizione leggera, giocosa, senza particolari ambizioni, può ricavarsi un suo spazio in tv. E soprattutto ha messo in crisi una certa idea di tv, smentendo che il racconto della terza età, per fare notizia e portare a casa ascolti, debba necessariamente passare attraverso smanie di visibilità, toni esasperati, situazioni (volontariamente o involontariamente) preconfezionate.

No. Esiste e può fare altrettanto rumore un protagonismo più autentico, appassionato. Fatto di storie di vita, di delusioni. Di gavette e successi sfiorati. Di scelte sofferte. Di possibilità di riscatto, per cui non c’è un tempo, né un’età. The Voice Senior è gioco ma allo stesso tempo vita. È esperienza. È il rimettersi in gioco nella consapevolezza di non aver più nulla da perdere per chi nella vita ne ha già viste tante. Troppe.

Non Amici o X Factor: non chi si affaccia alla vita inseguendo il sogno. Qui il sogno è parte di un vissuto, di un percorso più ampio. E forse anche per questo il racconto acquista un valore particolare, una maggiore profondità. C’è chi sostiene che parte di un riscontro così positivo lo si debba anche al periodo, alla pandemia che ha riportato questa fascia al centro dell’attenzione. E in parte è vero.

Ma io preferisco credere che sia soprattutto da ricercare nell’autenticità, il suo principale punto di forza. Quell’autenticità che riporta il racconto della terza età in tv sotto un’altra luce, allontanandolo dalla sconfortante deriva che aveva preso negli ultimi tempi. E finché riuscirà a preservarla The Voice non avrà alcunché da temere.