TELE… DICO | #NoAllaViolenzaSulleDonne: tutti bravi a condannare, ma ne siamo davvero capaci?

Il gigante buono e quell’amore non corrisposto”: decontestualizzato, potrebbe quasi sembrare il nome di una fiaba. Invece è il titolo di un articolo in cui, poco più di un anno fa, si ricostruiva l’omicidio di Elisa Pomarelli e la natura del rapporto che legava la ragazza all’uomo che sarebbe diventato poi il suo assassino, definito il “gigante buono” appunto.

Non serve aggiungere altro: basterebbe solo fermarsi un attimo e provare a immaginare come avremmo potuto reagire noi se Elisa fosse stata una nostra parente, una nostra amica e quell’articolo fosse arrivato tra le nostre mani. In quei giorni.

È un caso eclatante questo. Ma dice molto delle responsabilità dei media. E di un’attenzione che ancora manca. “Le parole “fabbricano” il pensiero, lo forgiano, sono influenti” hanno scritto in una lettera qualche settimana fa quattro giornaliste alla luce di quanto riportato in diversi articoli su quanto avvenuto a Carignano.

Un invito a colleghi e colleghe a prestare maggiore attenzione quando si raccontano femminicidi e altri episodi di violenza: “Basta parlare di raptus! Basta giustificare gli assassini! Basta ai facili moventi come la depressione e la gelosia! Basta far ricadere sulle donne la responsabilità della loro morte! Non rendiamo vittime una seconda volta le donne assassinate, non cadiamo in queste narrazioni tossiche, diamo valore alla nostra libertà di informare”.

Oggi in queste righe avrei potuto parlare di come la televisione stia supportando questa battaglia. Nel bene, nel male. La scorsa stagione di spunti ce ne ha regalati diversi: le polemiche per Junior Cally a Sanremo, quelle per Skioffi ad Amici 2019. I passaggi ritenuti offensivi nei testi delle loro canzoni. E la discussa frase di Franca Leosini nell’intervista a Sonia Bracciale: “La responsabilità ce l’ha anche lei come tutte le donne che non mollano il marito al primo schiaffone”.

Situazioni totalmente differenti, sia chiaro. Ma, a volerci individuare un filo, la contestazione è sempre lì: nelle parole. Parole che possono ferire. Fare male. Parole che possono diventare carezze o schiaffi, a seconda di come le si usa, specialmente quando ci si muove in contesti così delicati. Quando si arriva a sfiorare il dolore. Parole: polemiche, interpretazioni, smentite. Sempre e comunque parole.

Giornate come questa devono servire a ricordarlo. E allo stesso modo voglio farlo io oggi in queste righe. Non basta condannare, se poi si finisce per mancare di rispetto così, con le parole. Serve attenzione. Tutelare chi è vittima di violenza e quanti, anche indirettamente, vivono il suo dolore o si rivedono in esso. Perché non si dica più di una ragazza violentata che è stata “ingenua”. Né lo si scriva.