TELE… DICO | Liberi di essere, la TV tra coming out e (presunti) outing: avanguardia o poker face?

Il coming-out a puntate di Gabriel Garko. L’outing (o presunto tale) a Massimiliano Morra. E ancora lo sfogo (polemico) di Vittoria Schisano a Ballando Con Le Stelle. E non finisce qui. La libertà di essere ciò che si è: se c’è un tema, al di là della pandemia, a cui in queste settimane il piccolo schermo sembra dare rilievo è di certo questo. Un messaggio a reti (quasi) unificate: accettarsi, accettare. Denunce, condanne di comportamenti e atteggiamenti discriminatori. L’invito ad accelerare l’iter per la legge contro l’omotransfobia, anche in virtù di quanto la cronaca restituisce ormai quasi quotidianamente: episodi di pestaggi e aggressioni, atti vandalici contro sedi Arcigay o a danno di chi apertamente si batte in nome della libertà. Per non parlare di quanto successo a Caivano: qui l’opinione smette di essere tale e diventa evidenza. Evidenza di un Paese che, per quanto a parole si dica avanti, è in realtà ancora molto indietro su questo fronte. Talmente indietro che nel 2020 ancora non è in grado di rispondere in termini giuridici a un fenomeno che urla giustizia, come dice anche la morte di Maria Paola. Anzi, lo impone.

E in questo scenario di malcelata arretratezza, la TV dove si colloca? Sicuramente rispetto anche a solo vent’anni fa qualche passo avanti è stato fatto. Ma davvero oggi può dirsi all’avanguardia come crede di essere? No. Lo è spesso, ma non sempre. Lo è, lo fanno quei quiz che nelle voci dei loro concorrenti, in assoluta libertà e senza particolare risalto, raccontano di mariti, mogli, di compagni e compagne. Di famiglie arcobaleno. Lo è, lo fa X Factor quando ci fa conoscere Blue Phelix. O meglio quando ci fa conoscere Francesco e il suo sentirsi libero di vestire come vuole, senza convenzioni: uomo o donna, non importa, perché “i vestiti non hanno identità di genere e sono pezzi di tessuto”: l’importante, quando li si indossa, è sentirsi sicuri di sé, “libero e bello”, senza lasciarsi influenzare, lontano dal giudizio esterno.

Lo è, lo fa quando smaschera chi, a titolo personale, sfrutta battaglie importanti come questa per un proprio, egoistico tornaconto. Per un briciolo di popolarità. O una manciata di follower in più. Perché si può essere d’esempio mostrando ciò che si dovrebbe fare, ma forse lo si è ancor di più esibendo e condannando ciò che invece non si dovrebbe neanche lontanamente pensare di fare.

Smette invece di essere all’avanguardia, anzi infastidisce, quando l’outing, il coming out diventano un gioco e si persiste nel cavalcare filoni che al rispetto dell’individuo antepongono la caccia allo share (e al click). Quando la presunta omosessualità di un personaggio viene tirata in ballo e su di essa si fanno talk, se ne si discute, si dibatte. I “sentito dire”, i “posso assicurare che”. Non è questione di popolarità. Se davvero crediamo nel valore della libertà senza riempircene solamente la bocca, allora dovremmo accettare che ognuno, vip o meno, debba essere libero di fare e dire di sé ciò che vuole. E quando vuole.

Però poi si costruiscono ore e ore di talk sull’orientamento sessuale di Massimiliano Morra. Si insiste nel dare ad Adua e a Tommaso Zorzi nuovi spunti per riprendere e continuare la discussione (fine a se stessa) su quel detto/non detto, quel presunto outing. Per giunta davanti all’interessato, semi-zitto e visibilmente in imbarazzo. E noi? Noi stiamo a guardare. E giochiamo a indovinare chi è il “cantante macho che bacia un uomo”, sbattuto “in prima pagina” (o meglio, in home page) da Dagospia. Che dire? Forse a parole siamo sì all’avanguardia, ma nei fatti meno. E la tv, anche in questo, ci rispecchia. Insomma, televisivamente e no, c’è ancora strada da fare.