Forse se a indagare ci fosse Pierpaolo Petrelli, magari affiancato da Elisabetta Gregoraci, qualche punticino di share in più lo avrebbe potuto strappare. O con Alfonso Signorini alla regia, un Cristiano Malgioglio e una Dayane Mello come sospettati, probabilmente si sarebbe portato a casa almeno il 18%. La vittima? Ça va sans dire, Tommaso Zorzi.
Non può non dispiacere l’immeritato riscontro ottenuto da Il Silenzio dell’Acqua: meglio prenderla in ridere forse. Perché pur non avendo le caratteristiche per competere con i grandi crime di respiro internazionale, non si può non riconoscere che si tratti di un prodotto più che dignitoso, soprattutto se comparato con altre fiction trasmesse negli anni scorsi da Canale 5.
Eppure il pubblico sembra averla rifiutata. Ma quale? Il pubblico di Canale 5, avvezzo ormai quasi esclusivamente a reality-show e a scandali appositamente preconfezionati ad uso e consumo dei salottini del Biscione? O il grande pubblico appassionato di serie, capace ancora di apprezzarne una ben confezionata e più o meno credibile, anche a livello di interpretazione e di sceneggiatura?
No, perché a ben guardare Il Silenzio dell’Acqua viaggia su Mediaset Play con numeri piuttosto consistenti e tutt’altro che “flop”. Il pubblico è sempre pubblico, obietterebbe qualcuno. Vero. E allora forse il vero crimine su cui bisognerebbe iniziare a indagare è come la rete de “I Cesaroni” e di “Distretto di Polizia”, de “Il Sequestro Soffiantini” e “Nassyria” sia arrivato a disabituare il pubblico a uno dei generi oggi tra i più quotati.
Le accuse: scelte editoriali discutibili, continui rinvii (Made in Italy compare ormai da più di un anno nei listini). Un intero anno senza titoli, in balia di GF, Non è la D’Urso e Temptation Island. La (mezza) difesa: il paragone non regge, la serialità oggi evolve in fretta. E sono cambiate le modalità di fruizione: è anche per questo che prodotti come Il Processo o Non Mentire, pur ottenendo un buon riscontro su Mediaset Play e altre piattaforme, non sono riusciti a totalizzare grandi numeri in tv.
Basterebbe cambiare canale però per smentire queste tesi. La serialità in tv ha ancora una sua ragione d’essere se solo si riuscisse a inquadrare il pubblico a cui parlare e a intercettare il modo più efficace. Inseguire volti e nomi della concorrenza (Nino Frassica, Cesare Bocci, Anna Valle, Vanessa Incontrada, Giuseppe Zeno) però potrebbe non bastare.
Soprattutto se decidi di puntare su una fiction no-stop, in onda h24, qual è oggi il Grande Fratello o L’Isola dei Famosi. Perché quello che vent’anni fa era un reality oggi non è altro che un tele-romanzo, spalmato ad ogni ora, in ogni trasmissione: sarà anche vero che non esiste un copione scritto ma ce n’è uno non scritto sempre più evidente nei casting, nelle dinamiche inseguite. E intrinsecamente anche nei comportamenti dei concorrenti: personaggi non più in cerca d’autore, ma autori di se stessi.
Lo ha ammesso anche Maria Teresa Ruta dicendo di sapere che probabilmente il vincitore sarà Tommaso Zorzi e “noi siamo qui e lo sosteniamo”. Meno spontaneità, costruzione ai livelli massimi: è artificio, mascherato e non dichiarato, che plasma e si riflette anche in altri contenuti, altre trasmissioni (il gossip su Brosio e la fidanzata ad esempio). E arriva quasi a uccidere quei prodotti dichiaratamente artefatti.
Film tv, fiction, serie, indipendentemente dal loro effettivo valore, ognuno a modo suo, vittima di un corto circuito che potrebbe finire per travolgere Mediaset stessa. Perché se il problema, al di là dei contenuti, è nella rete stessa, quale produttore avrà il coraggio di puntare ancora su Canale 5 per la propria serie?