TELE… DICO | #IlCommissarioRicciardi e non solo… dalla penna allo schermo e l’asticella della serialità si alza

Quando si pensare all’associazione tra letteratura e serie TV il primo esempio che ci viene in mente è sicuramente il fenomeno televisivo de “Il Commissario Montalbano” i cui episodi sono tratti dai romanzi di Andrea Camilleri. Una fiction che ha incarnato nel tempo il genere diventando il fiore all’occhiello, per qualità ed ascolti, di Rai 1. Il personaggio interpretato da Luca Zingaretti è riuscito fin dalle prime stagioni a rappresentare un tutt’uno con il commissario tratteggiato dallo scrittore siciliano.

L’efficace binomio tra romanzi e serialità è un tema più che mai attuale in queste settimane nelle quali Rai 1 sta trasmettendo le affascinanti storie di “Mina Settembre” e i casi de “Il Commissario Ricciardi”, entrambe creature dello scrittore Maurizio De Giovanni, già forte del successo delle due stagioni de “I Bastardi di Pizzofalcone”, anch’essa adattamento di best-seller.

Nate dalla stessa penna, le due serie si presentano profondamenti differenti agli occhi del pubblico, in grado di offrire due spaccati di una Napoli di epoche diverse: se la domenica sera la protagonista indiscussa è Serena Rossi nei panni di un’assistente sociale che si districa nella realtà contemporanea del capoluogo campano in un dramedy sentimentale dai toni rassicuranti, al lunedì sera si cambia totalmente registro, calandoci nell’atmosfera oscura degli anni Trenta, con Lino Guanciale nei panni di un personaggio tenebroso e complicato.

Due titoli che hanno saputo conquistare gli spettatori: risultati, questi, sicuramente non scontati alla vigilia della messa in onda, soprattutto per la complessità della serie diretta da Alessandro D’Alatri, capace di mescolare giallo, melò e soprannaturale. E con una narrazione ed un impianto che può ricordare una rappresentazione teatrale.

Quella de “Il commissario Ricciardi” è, per questo, l’operazione di trasposizione letteraria più complessa ed ambiziosa delle ultime stagioni: probabilmente meno pop, ma non per questo meno efficace.

Una prova di maturità anche e soprattutto per Lino Guanciale capace di proporre un personaggio credibile e fedele al suo alter ego letterario: quanto di più distante dai ruoli interpretati fino ad ora, su tutti quello del dottor Claudio Conforti ne “L’Allieva”, altra serie ispirata a romanzi, in questo caso a quelli di Alessia Gazzola.

E come dimenticare il sostituto procuratore “Imma Tataranni” creato da Mariolina Venezia, in attesa delle indagini di Lolita Lobosco, la “Montalbano in gonnella” della scrittrice Gabriella Genisi che vedremo in onda nelle prossime settimane.

Anche Rai 2, la rete che più di tutte ha sperimentato nel genere fiction, ha puntato sugli adattamenti letterari, soprattutto di romanzi gialli: dall’ispettore Coliandro di Carlo Lucarelli al vice questore Rocco Schiavone di Antonio Manzini, fino a “L’Alligatore”, la serie con protagonista Matteo Martari basata sui romanzi di Massimo Carlotto.

L’obiettivo di Rai Fiction, dunque, sembra abbastanza chiaro: alzare sempre di più l’asticella della propria serialità, un genere sempre più fruito grazie alle piattaforme digitali in grado di offrire una qualità generalmente medio-alta a livello tecnico e registico e soprattutto di proporre sceneggiature originali e accattivanti. Un paradigma imprescindibile se si vuole competere con i prodotti stranieri oppure con le produzioni italiane targate Netflix o Amazon Prime. Questo è anche il caso di “Made in Italy”, la serie resa disponibile su Amazon Prime Video prima e in chiaro su Canale 5 poi: un segnale che dimostra quanto anche Mediaset non sia rimasta indietro.

Ed ora che il pubblico si è abituato ad un certo livello, difficilmente si può tornare indietro.