TELE… DICO | Il 2020, lo sguardo della TV sulla pandemia, il “ne usciremo migliori”… è davvero così?

La stessa parola: storia. Per indicare ciò che è stato, il passato. Ma anche per indicare la narrazione, falsata o meno, di avvenimenti del presente e del futuro. È storia il Coronavirus: una (Grande) Storia popolata di storie minori, alcune anche non vere. La Storia: il frutto di una narrazione, autentica o meno, a discrezione di chi la scrive. Di chi sceglie cosa riportare nel futuro. E cosa invece è meglio lasciare al presente e dimenticare.

Quest’anno ne abbiamo avuto prova come, anche solo a ridosso del 31 dicembre 2019, non ci saremmo mai aspettati. Quest’anno la tv non ha solo visto la Storia: l’ha fatta, con le conduzioni dai salotti di casa, gli studi senza pubblico e la riscrittura in corso di format assodati per garantire il distanziamento e altre misure anti-contagio.

E l’ha scritta. Farcendola anche di fake news, di sensazionalismo: di involtini primavera mangiati in diretta e preghiere recitate a favore di telecamera. Elevando virologi e altri esperti a nuove star del piccolo schermo in una bulimia di voci, di opinioni che spesso l’ha portata ad amplificare dichiarazioni anche contraddittorie.

E sempre umanizzandola, per quanto possibile. Portandoci nelle storie di chi il virus l’ha sconfitto. Di Mattia, il paziente zero di Codogno, che dopo la guarigione ha potuto abbracciare la figlia nata mentre lui era ancora attaccato a un respiratore. E dell’altro Mattia, il diciottenne. Del messaggio alla madre prima di essere intubato: “Devo andare, stai tranquilla. Ti amo e lotterò per te”. Di loro e di tutti gli altri. Di medici e infermieri che l’hanno combattuto, al punto da sacrificare le loro vite. E di chi non ce l’ha fatta. Nelle RSA, negli ospedali. Nelle case, dove sono stati lasciati morire.

Nomi che la Storia dimenticherà per lasciare spazio ai numeri raccapriccianti, letti ogni giorno nelle consuete conferenze stampa che la tv ha trasformato in un format a sé stante. Snocciolati nella loro drammaticità e, nella prima fase, spesso senza una precisa contestualizzazione che potesse in minima parte arginare la confusione crescente intorno ad essi. Numeri, come quelli del lockdown. Delle attività commerciali chiuse. Dei ristori, arrivati o meno. Di concerti, spettacoli annullati. E lavoratori a casa.

Resteranno i numeri nella Storia, non le storie. Le storie di chi dall’oggi al domani si è trovato senza lavoro. Di chi è stato costretto ad abbassare la saracinesca per sempre e dire basta. Di chi si è improvvisato ladro, costretto a rubare nelle panetterie o nei supermercati per dare da mangiare ai figli.

Resterà (e si protrarrà per anni) il dibattito sull’efficacia della gestione. Su inefficienze e strumentalizzazioni politiche. Su Recovery Plan e ripresa economica. E resteranno le teorie complottiste, suffragate da nuove ipotesi fiorite di sicuro nel mondo dei social e in Internet. E faranno molto più rumore di una qualsiasi storia di resilienza e solidarietà.

Di fabbriche che hanno riconvertito la loro produzione per aiutare ospedali e strutture sanitarie. Di persone che sono riuscite a fare “di necessità, virtù”. Come quella di Chiari, delle valvole per i respiratori per dare ossigeno ai pazienti in terapia sub intensiva che erano finite e non sarebbero arrivate in tempo. E della rete di solidarietà che si è creata intorno, anche grazie ai social, e che ha portato un imprenditore della zona a recarsi in ospedale con la stampante 3d dell’azienda per ridisegnare e produrre in poche ore il pezzo mancante.

Non è fiction. Non è Doc – Nelle Tue Mani. È vita. Sono storie di vita che in quest’anno hanno fatto la Storia. Nel bene e nel male. È Storia l’informazione (e la disinformazione) di questo 2020. È Storia quella restituita dalle immagini di città vuote, inanimate. Di sfilate di camion carichi di morte. Di canti sui balconi. Del Papa, solo, in Piazza San Pietro. Di infermieri e medici stremati nelle corsie degli ospedali. Dei segni lasciati dalle mascherine e di occhi stanchi. Ma sono Storia anche le straordinarie storie di resilienza e solidarietà. Sta a noi non dimenticarlo. E scegliere da dove ripartire.